Autoritratto occulto. Un panno bianco nasconde e rivela una presenza che si inerpica su una rupe rocciosa.
Hidden self portrait. A white cloth hides and reveals a presence clambering a rocky crag.
In Natura tutto copula. Tutto nasce, vive e muore.
Tutti gli esseri esprimono nel loro vivere la loro appartenenza a questo ciclo, a questo movimento.
In Natura tutto è permeato di desiderio. Questo desiderio trova il modo più semplice e diretto per esprimersi.
L’espressione di questo desiderio è libera, spontanea, necessaria, non deve chiedere, non deve “promettere”.
Questo desiderio vuole trovare una forma e un modo per esistere.
Tutto chiama tutto, ogni desiderio è desiderato.
Nel mondo vegetale esso assume una bellezza sconvolgente. Ogni grano di polline lascia il fiore spinto da un desiderio. Si lancia nel vuoto e l’unica cosa vera in quel momento è quella brama; esso non sa che questo. Ogni granulo di polline sa che è fatto per essere accolto da un altro fiore e fare frutto e non importa sapere se cadrà su sterile roccia, nelle fiamme di un incendio o se troverà ciò che il suo desiderio conterrà.
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C’è un esilio che precede l’appartenenza a un luogo, a una cultura. Un esilio da noi stessi e dal mondo. E’ un esilio dovuto alla mancanza di appartenenza al proprio tempo, al proprio mondo. E’ il rifiuto che desidera continuamente il ricongiungimento con le radici stesse della vita nella bellezza e non riesce a trovarlo. Si è venuti al mondo e troppo presto ci si trova esiliati… E’ un esilio che brucia continuamente. Sembra cessare quando il nostro desiderio può esprimersi liberamente, quando questo desiderio è lo stesso della vita in sé. Desiderio che cresce nel vuoto e che lo satura del suo profumo.
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I nostri sogni estendono il nostro presente nell’infinito, in tutti gli altri altrove esistenti; essi confluiscono nei nostri sogni. I nostri desideri sono un altrove che chiede prepotentemente di farsi carne, di irrompere nel presente. Per ora non ricordi i tuoi sogni. Per ora i tuoi desideri non vivono nel presente. Essi vivono nascosti, serrati in petto, non giungono al mondo. Vivono in un altrove che è solo tuo. Nessun altro vi partecipa ma in te tutto è contenuto in una gestazione sotterranea. A voi, con i piedi saldamente piantati a terra hai dato l’esempio da fuggire. Hai sempre vissuto altrove.
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Nessuna voce. Nessuno d’intorno. Ora si fa spazio, in questo silenzio, il tuo tempo. Tendi l’orecchio a una vita che si svolge nel tuo altrove. Ti manchi. Stai sulla superficie delle cose. Non t’inabissi e nemmeno ti libri. Ma puoi immaginare gli abissi e le altitudini. Puoi sempre immaginarti e anche se il tuo cuore continua a palpitare, quasi non lo senti, come se lo avessi messo in aspettativa. Per quanto? Forse per poco, forse per sempre.“Ah non credere alla morte delle passioni” … “Si resuscita fino ad un certo punto”. E intanto i desideri si gonfiano, piano piano, in sordina. Aspettare è follia. Ti fai bastare il profumo del fico, lo scheletro vuoto della cicala, il volubile vento, le giornate di libertà concessa. Ti dici: “Lascia la tua immaginazione per ogni dove, appena puoi, salta negli altri mondi, nel richiamo fervente eppur quieto di questo incredibile presente, tutto bucato”. Ciò che appare solido è lasso e inconsistente. Serve una caparbietà ostinata per non abbandonarsi. Altrimenti si è persi. Ora puoi desiderare senza limiti, nella vacuità di tutte le assenze che non aspettano che di essere colmate. Le ebbrezze delle sazietà passate, le lacerazioni mai rimarginate e tutto un mondo che va percorso nella vita dell’esule intermittente. I pensieri si raggrumano… Stomaci digiuni non possono onorare un banchetto troppo lauto… Labbra arse si accostano cautamente alla fonte. Questo è il tempo di gestazione di una nuova fame; cresciuta poco a poco con impaziente pazienza, cercando una rinnovata sollecitudine; nascosta, silente, dominata dalla necessità di questo mondo. In ogni interstizio si spinge il cuneo che possa allargare la visione dell’impossibile. Si prepara il viaggio in solitaria, si ricerca la ri-conoscenza necessaria. Si sfila tra gli eventi e le persone in vista della rada in allontanamento.
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Ad ogni partenza si sente d’aver lasciato tutto a riva, che ciò che si è abbandonato se ne è veramente andato. Non è così, sarà in mezzo al mare che si ritroverà, nascosto nelle pieghe del tempo, un frammento di ricordo. E’ una fuga perenne, forse una fuga inane perché non si può fuggire la propria ombra.
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Devi continuare questa fuga e farne un viaggio perenne, lasciare morire tutto ciò che è in agonia, foggiare il passo, vivere nella dimenticanza del presente, non fermarsi mai, se non il tempo di esaudire tutte le possibilità. Nel viaggio tutto è movimento, tutto fluisce, non ci si può fermare. La tentazione di edificare in un luogo è vanificata dall’incessante mutamento che trascina. Viaggiare ci illude veramente di stare seguendo e di aderire al procedere incessante della vita. Forse il darsi completamente e perdutamente al cangiare continuo delle impressioni, alla mancanza di ancore, all’accogliere sapendo che si dovrà lasciare; forse ciò ti permetterà di vivere e di procedere nel labirinto di questa vita e non permettere ai mille demoni e tradimenti e tristezze infinite di ghermirti e fermarti nella tentazione di una fine definitiva. Qualcosa dovrà essere concluso, necessariamente, e qualcos’altro, necessariamente, dovrà venire. Conosci l’estasi dell’abbandono, del darsi completamente agli eventi a cuore aperto… E sei povero di tutto e ricco d’ogni bene. Ma statti accorto e non svelare ciò che così fragilmente esiste in te perché sai quanto quest’abbandono possa trascinarti in luoghi dai quali non potrai tornare sebbene è ciò che segretamente desideri.
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Rimane un’alterità a visitare il presente. Coesistenza di tempi, visitazione di altri mondi, cadute e ritorni in un presente incredibile. Gl’infiniti istanti appartenenti all’ora si ramificano in mille direzioni. In essi vivono tutte le voci che ci abitano. E’ forse la presenza di una costante dimenticanza l’unico modo di rompere questo confluire di una memoria che si estende in ogni dove? C’è qualcosa di indefinibile che rompe il fluire incessante del tempo e lo espande in un estasi pura e ci fa rientrare in un tempo assoluto, infinito. Tutto ciò che è avvenuto, ciò che ha ancora da venire, ciò che mai avverrà, egualmente ci appartiene. E così per il presente, una contingenza casuale eppur necessaria. Un incessante andare alla deriva, un nostos senza meta dove la meta è l’origine.
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Lascia alla mia solitudine l’illusione di averti qui con me. Lascia al mio esilio l’illusione di appartenere ad un luogo, a un tempo o ad un cuore. Tutte le lontananze mi appartengono. Posso dire in questo momento di appartenere a me stesso? Da isola a isola, nel viaggio dove la distanza si misura, le immense distese oceaniche ci separano e ci uniscono. È strano come qui, dove tutte le lontananze s’incontrano nel mio cuore, io sia giunto per dimenticare e per sapermi meglio solo e padrone della mia vita. A chi mi cerca, mi sottraggo e a chi mi ha lasciato sempre penso.
Ma ci sono dei momenti in cui vivo apertamente raccolto e seguo in punta di piedi i venti e vivo con volontario abbandono la danza solenne di questo esilio, dove tutto e niente posso dire d’essere mio.